L’appartenenza è un sentimento, è il senso di inclusione e la percezione del nostro valore in un determinato contesto.
Ci sentiamo di appartenere quando percepiamo di essere accettati, quando le nostre differenze sono riconosciute e tollerate, quando ci sentiamo connessi con gli altri.
In fondo a ciascuno di noi non credo ci sia una paura più grande dell’esclusione.
Sentire di non appartenere, di non avere dimora, significava ai tempi primitivi, essere a rischio della stessa vita.
Oggi riecheggia un dolore e una paura altrettanto profonda.
Se qualcuno ci esclude abbiamo subito bisogno di appartenere a qualcosa di diverso.
Ma appartenere. Appartenere non significa essere posseduti: significa essere riconosciuti e compresi da qualcuno.
Riconoscersi e comprendere un gruppo di persone o una singola persona.
Così, quando qualcuno si sente riconosciuto, sente che il suo bisogno di appartenere è confermato, accade, ogni volta un piccolo miracolo.
Ecco perché le famiglie possono fare tanto male e tanto bene.
Possono darci la forza che viene dall’appartenere e dall’intimità.
Oppure possono spezzare la nostra fiducia nell’appartenenza e nell’intimità.
Non sentire di appartenere è un dolore che ci aggroviglia il cuore e rende la mente piena di pensieri e di dubbi.
Sarò amabile? Sarò degno di ricevere amore così come sono?
E, soprattutto, io posso amarmi, posso dare conforto al mio dolore o deve per forza essere un’altra persona a confermarmi il mio diritto di esistere?