Noi siamo le nostre emozioni ed esse influenzano l’esistenza di ciascuno di noi, per questo è bene imparare a comprenderle e gestirle. In questa pratica di presa di coscienza, ci aiuta senza dubbio la self-compassion, la capacità di essere compassionevoli e comprensivi, prima di tutto, verso se stessi.
Le emozioni negative restringono la nostra mente, annebbiano i pensieri, costituiscono una vera e propria tortura a cui ci sottoponiamo e che può incidere in modo critico sulla nostra mente e, a lungo andare, anche sul nostro corpo.
Naturalmente, nella vita di tutti i giorni siamo sottoposti a tante circostanze e vissuti che possono generare emozioni negative: un malcontento lavorativo o personale, il mancato raggiungimento di un obiettivo, una persona vicina a noi che si comporta in modo inaspettato o che ci tradisce, una malattia nostra o di una persona cara. Sentimenti come rancore, dispiacere, dolore, certamente esistono e non possono essere soffocati, ma vanno superati per consentirci di ritrovare l’equilibrio e la serenità.
Per questo è importante imparare ad affrontare le difficoltà attraverso la compassione, mettendo in pratica meccanismi mentali e di lettura degli avvenimenti, che ci difendono dalla negatività e ci aiutano a elaborarla, e allo stesso tempo ci permettono di perdonare gli altri e noi stessi.
Le basi della compassione
La compassione apre la mente, la calma e ci aiuta a capire meglio la realtà. Ma su che cosa si basa la compassione? Di che cosa si tratta veramente?
La parola deriva dal greco e significa “sentire insieme”, condividere le emozioni: compassione verso di sé e verso gli altri vuol dire comprendere che nessuno di noi è immune dagli errori e dalle sofferenze, tutti viviamo, prima o poi, le stesse criticità.
Sembra un principio banale, e nella sostanza è piuttosto semplice una volta messo a fuoco, ma la cultura occidentale individualista tende a basare l’autostima degli individui sull’idea di essere migliori di altri, impedendoci di vedere la linea che ci unisce e ci mette tutti sullo stesso piano.
Quando il singolo è attratto dall’idea di prevalere sugli altri, di essere migliore se non addirittura il migliore fatica molto di più ad accettare di non avere successo o di essere ferito. Quando un altro lo ferisce lui non fa che sminuirlo nel tentativo di farsi più grande e mantenere una buona opinione di sé. Scarica verso l’altro rabbia e giudizio negativo, non perché questo gli porti benessere, ma perché sentirsi migliore di un altro sembra, in qualche misura, aiutarlo e rassicurarlo.
Ricorrere invece alla compassione verso gli altri e verso di sé è una soluzione meno comune, soprattutto nella cultura occidentale, nonostante sia in realtà estremamente potente e benefica, vediamo perché.
La compassione verso gli altri
La compassione verso gli altri ha diversi aspetti e declinazioni.
La compassione ci aiuta a esercitare il rispetto dell’altro, questo è basato sull’atteggiamento non giudicante che raggiungiamo quando comprendiamo che tutti gli esseri umani possono cadere in errore o attraversare fasi di debolezza. Tale posizione si rivela fondamentale nel rapporto di coppia, lavorativo o genitoriale, è il presupposto per il dialogo, per la possibilità di aprirsi in modo incondizionato all’ascolto; gli altri lo percepiscono e trovano in noi un vero supporto.
L’essere compassionevoli è alla base del perdono: esercitare il perdono è importante per mantenere un rapporto positivo nel tempo, ma anche quando questo rapporto non ha più motivo di proseguire, perdonare consente di chiudere una relazione in modo più sereno, magari lasciandole uno spazio per trasformarsi e restare parte della nostra vita con modalità differenti e , spesso, più costruttive.
Esercitare la compassione significa anche coltivare la gentilezza amorevole: questa aiuta a stare meglio mentalmente e fisicamente e impatta in modo positivo sul nostro sistema immunitario, sia che la si rivolga verso sé stessi, come self-compassion, sia verso gli altri.
Il perdono, quanto è importante?
Questi aspetti della compassione sono tutti importanti perché incidono positivamente sulla serenità relazionale e individuale, tuttavia, ci concentreremo per un momento sul perdono, così difficile nella nostra società che ci espone continuamente a modelli basati su aggressività e prevaricazione.
Perché abbiamo difficoltà a perdonare?
La difficoltà del perdono, come già anticipato, sta nel fatto che siamo abituati al giudizio, talvolta semplicistico, e ci lasciamo prendere dall’ansia di perfezione. Il perdono però va a vantaggio di chi lo esercita, per questo è così importante.
Quando non riusciamo a perdonare è perché, da una parte, ci dà sollievo pensare che l’altro che ci ha offeso sia “meno” di noi; dall’altra, tendiamo a liquidare il suo comportamento giudicandolo rapidamente in modo negativo perché non vogliamo vedere in modo chiaro la complessità che può averlo generato.
Quello che ci insegna la compassione è che ogni essere umano è frutto di una serie di fattori, che siamo tutti in condivisione e che tutti per questo dobbiamo essere considerati nella nostra complessità. Kristin Neff, nel suo libro “La self-compassion. Il potere di essere gentili con se stessi”, parla in questo caso di saggezza discriminante che ci fa leggere le azioni degli altri come risultato di una serie di elementi e limita le letture semplicistiche della realtà.
La saggezza discriminante ci fa capire che chi ha agito contro di noi può averlo fatto per proprie e profonde ragioni di sofferenza e difficoltà, ci aiuta quindi ad empatizzare invece di giudicare.
Perdonare è lasciare andare l’offesa
Il perdono comporta di lasciare andare l’offesa e concentrarsi sul proprio benessere. Certo, non è semplice attuarlo, ma non dovremmo dimenticare che è nostro interesse. Non lasciare andare può portare a malesseri psicologici e fisici, dobbiamo pertanto imparare a riconoscere quando ci fa bene perdonare, esercitando la compassione.
L’attitudine alla compassione si può rivolgere verso gli altri, ma anche verso noi stessi: per valutarci ci basiamo spesso sulle nostre dimostrazioni di capacità, di valore, ma finiamo per far dipendere l’affetto che rivolgiamo a noi stessi da condizioni esterne, che non controlliamo mai completamente. Per questo il concetto di compassione verso di sé (self compassion) può avere un ruolo importante nell’educazione, per far sì che gli individui imparino a mostrare gentilezza amorevole anche verso sé stessi, a comprendersi e perdonarsi e a smettere di inseguire una perfezione inesistente nella realtà quotidiana.
Superando l’ansia di perfezione si può imparare ad accettare la vita per quello che è, limitare l’autocritica e l’autocontrollo, che generano ansia e tensione, e che di fatto ci espongono continuamente al fallimento perché la direzione che prende la nostra esistenza non dipende in realtà esclusivamente da noi.
Oggi il mio saluto si esprime con le parole di Nelson Mandela: “Il perdono libera l'anima, rimuove la paura. È per questo che il perdono è un'arma potente.”