Self-compassion e genitorialità, la vera lezione educativa
Nel nostro percorso alla scoperta della self-compassion affrontiamo un capitolo importante e delicato, ovvero l’applicazione della self-compassion nella relazione genitoriale.
Padri e madri sperimentano quotidianamente la difficoltà di essere la versione migliore di sé stessi di fronte ai propri figli, che siano piccoli o adolescenti: diciamo la verità, sogniamo di essere pazienti e ragionevoli ma in verità nulla mette a dura prova la nostra capacità emotiva come un figlio.
La self-compassion entra nel processo educativo in una doppia modalità: da una parte, ci viene in aiuto nel nostro ruolo indirizzandoci alla giusta disponibilità e apertura verso bambini e ragazzi; dall’altra, è una modalità di pensiero utile da insegnare loro perché si abituino ad applicarla.
Vediamo quindi l’impatto rivoluzionario che la self-compassion può avere in questo ambito di applicazione.
Mostrare compassione per la nostra genitorialità imperfetta
Come dicevamo, essere genitori ci espone a una continua autocritica: l’immagine di noi stessi nella relazione con i figli non corrisponde quasi mai all’ideale che abbiamo costruito nella nostra testa. Se anche fossimo padri e madri modello, capaci di non perdere mai il controllo e di destreggiarci sempre con un sorriso, ci sarebbero in ogni caso dubbi enormi ad attanagliarci: sarà questo il modo giusto di comportarmi? Sarà questo l’esempio migliore che posso dare a mio figlio? E così via con dubbi e domande che ci sollecitano a ogni passo.
Che cosa ci consente di fare e di essere, come genitori, la self-compassion?
guardare a noi stessi come genitori fallibili, anche se volonterosi e consapevoli, prendiamo atto di essere umani;
rimanere centrati e non perdere l’orientamento e l’equilibrio;
evitare di passare troppo tempo a criticarci mettendo a fuoco che spesso il modo in cui ci comportiamo è il migliore in una determinata situazione;
avere la consapevolezza che nella vita reale il genitore perfetto non esiste.
Correggere i figli incoraggiando la self-compassion Quali sono i passaggi necessari per costruire un rapporto sereno, sulla base della self-compassion che assicuri a noi e ai nostri figli una relazione costruttiva e amorevole?
Abbandoniamo con liberazione e sollievo l’idea di dover essere genitori ideali e rinunciamo, nello stesso tempo, al figlio ideale: confrontare costantemente i nostri figli con un modello inesistente significa generare frustrazioni e insoddisfazioni che piccoli e adolescenti non saranno in grado di gestire e che rischia di indirizzarli sulla via dell’infelicità.
Aiutiamo i nostri figli in modo compassionevole, mostrando loro che ci si deve sempre applicare per fare del proprio meglio ma che sbagliare serve a imparare, può supportarli nell’affrontare con maggiore disinvoltura i rischi legati a eventuali insuccessi. Una certa serenità di fronte al fallimento è il presupposto fondamentale per avventurarsi a cuore aperto verso la realizzazione dei propri sogni ed essere adulti più felici, come a dire che il coraggio non viene dall’essere perfetti ma dall’accettare quello che può succedere, nel bene e nel male. In questo senso puntare tutto il percorso educativo sull’autostima rischia invece di generare un’eccessiva paura del fallimento, con il risultato di costringere i propri figli a rimanere nella propria comfort zone.
Un altro aspetto su cui incide la propensione a essere compassionevoli è di scegliere come genitori di criticare il singolo comportamento evitando di generalizzare e farlo diventare un tratto di carattere. Per semplificare con un esempio: è più facile smettere di lasciare in disordine piuttosto che smettere di essere una persona disordinata. Se vogliamo incoraggiare il cambiamento dobbiamo come genitori mostrare che pensiamo che questo sia possibile, l’esatto contrario di quello che avviene quando diciamo “sei disordinato”, che implicitamente significa “non cambierai mai perché sei proprio tu che sei fatto così”.
L’applicazione della compassione in ambito educativo significa dimostrare ai nostri figli che li capiamo, che hanno di fronte qualcuno che è in grado di immedesimarsi e cogliere il loro punto di vista: questo incide sulla possibilità di dialogare e creare le condizioni per l’apertura da parte loro a raccontarsi (e anche a riconoscere i propri errori) e ad ascoltarci.
In generale l’esercizio della compassione può essere costruttivo per tutto il periodo della crescita, con accezioni diverse in base alla fase dello sviluppo del bambino e dell’adolescente.
Il lavoro genitoriale con i figli piccoli
I primi anni di vita di un figlio sono una prova difficile e intensa per i genitori da tutti i punti di vista: stanchi e distratti, le mamme e i papà faticano a mettere a fuoco la motivazione dietro a determinati comportamenti e ad agire di conseguenza.
In molti casi il bisogno dei piccoli è di connessione, di essere in relazione con il genitore che ha il compito di rassicurare il bambino e creare il contesto per permettergli di muoversi in autonomia nel mondo. La reazione del genitore alla richiesta di attenzione dovrebbe essere quindi rassicurante, e in molti casi questo avviene correttamente. Talvolta però, tale richiesta viene espressa a suon di capricci, lamenti, disturbi, che il genitore finisce per fare l’esatto contrario e agitarsi o arrabbiarsi, generando una spirale negativa nello scambio con il bambino.
La self-compassion può consentire al genitore di agire in modo più calmo, di entrare in empatia con il bambino capendo le sue motivazioni profonde e di cogliere quindi l’opportunità per contenere e placare la turbolenza del figlio.
Crescere non è facile per un bambino e significa attraversare molte sfide: di fronte a un momento di difficoltà può mettere alla prova i genitori con atteggiamento provocatorio, per essere rassicurato sulla loro presenza e sul loro amore. I genitori possono comprenderlo e reagire in modo tranquillizzante solo se dimostrano amore incondizionato al proprio figlio o figlia soprattutto in questi frangenti, in questo può tornare a loro favore praticare abitualmente la compassione.
Il lavoro genitoriale con i figli adolescenti
L’adolescenza è il periodo della vita in cui si inizia a dare valore al modo in cui gli altri ci vedono e in cui noi pensiamo che ci vedano. Si tratta di una fase della crescita complicata perché ci si mette continuamente in discussione soprattutto se abbiamo in testa un ideale definito da famiglia, amici, media e così via… al quale non corrispondiamo sotto uno o più aspetti.
Il modo in cui si riesce a superare il trauma di non essere aderenti a questa immagine perfetta può determinare uno sviluppo più o meno armonico e sereno della propria identità per affermare sé stessi oltre gli stereotipi. La situazione che vivono i ragazzi in questa fase è ulteriormente aggravata dal fatto che tendono a percepirsi soli di fronte al loro dramma, perché non hanno la consapevolezza che le emozioni che vivono e il loro senso di inadeguatezza caratterizzano la loro crescita così come quella di tutti i loro coetanei.
Immaginiamo poi che siano stati cresciuti ed educati all’autostima: avranno probabilmente bisogno continuo di conferme esterne (che non sempre arrivano) e di essere migliori degli altri per avere la sensazione di valere davvero.
In questo contesto abituarli alla self-compassion può essere un salvavita perché sapranno che non sono gli unici ad attraversare le difficoltà, che tutti si sentono inferiori a qualcuno, che non è necessario prevaricare sugli altri per affermare sé stessi.
Alla base della self-compassion c’è un atteggiamento gentile, sempre. Ecco perché voglio salutare con questa bella frase di Lao-Tzu: “La gentilezza nelle parole crea fiducia. La gentilezza nel pensare crea profondità. La gentilezza nel dare crea amore”.