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PSICOLOGO - PSICOTERAPEUTA - ISCRITTO ALL'ORDINE DEGLI PSICOLOGI DELLA LOMBARDIA, N. 8467
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Dipendenza affettiva: come uscirne? Imparando a dire no

Dipendenza affettiva come uscirne Imparando a di
Si parla spesso di dipendenza affettiva, ma sappiamo bene che cosa significhi? Potreste anche aver sentito l’espressione “love addiction”, una definizione molto usata negli ultimi tempi.

In ogni caso, si tratta di una vera e propria patologia, un disturbo relazionale, in cui chi è coinvolto desidera in maniera ossessiva, all’interno di una relazione intima e personale, amore e approvazione. Prima di rispondere alla domanda che titola questo articolo - dipendenza affettiva: come uscirne? - cerchiamo di saperne di più.

 

Dipendenza affettiva: sintomi

Quali sono i sintomi che indicano dipendenza affettiva? Possiamo qui ricordare i principali e inequivocabili.
  • La paura di perdere la persona da cui si dipende, il timore che ci possa abbandonare e non corrispondere più ai nostri bisogni. Da questa persona bramiamo continue rassicurazioni e quando non arrivano ecco che cadiamo nello sconforto.
  • Se la relazione è di coppia, succede che si pretendano ripetute dimostrazioni di affetto per essere rassicurati, risposte a continue e spesso sfinenti domande.
  • Quando la persona da cui dipendiamo manca, possiamo cadere preda di stati di ansia e panico proprio perché abbiamo molta difficoltà a essere autonomi e ad agire di conseguenza.
 
La questione va vista ovviamente anche dall’altro punto di vista, cioè del soggetto che elargisce o dovrebbe elargire attenzioni: di frequente questa persona all’interno di una coppia - potrebbe essere anche un genitore, un mentore, un insegnante -   può in qualche modo (anche in maniera inconscia e non sempre con precisa volontà) esercitare a proprio favore tale influenza sul soggetto più debole. Purtroppo la casistica ci riporta anche molti casi in cui qualcuno di più scaltro ha sfruttato a proprio favore la posizione di debolezza all’interno di un rapporto.
Quando si vivono situazioni e relazioni di questo tipo, si sa che il senso di appagamento derivante dalla dipendenza è solo apparente e di breve durata. Ben presto, ci si sente vulnerabili, comprendendo di essere in balia dell’altro, ma sottrarsi è difficile benché ci siano momenti di lucidità in cui è possibile riflettere e vedere con chiarezza in quale punto ci si trovi.
 
Come possiamo uscire da questo circolo vizioso e riprendere piena padronanza di noi stessi?
 

Uscire dalla dipendenza affettiva: il primo passo


Il primo e fondamentale passo è avere consapevolezza dei propri bisogni e saperli esprimere. Spesso, non solo non si riconoscono i propri bisogni ma si pensa sia normale soffocarli o metterli da parte a favore dell’altra persona, magari spendendosi per realizzare i suoi.
 
Forse ne avrete sentito parlare: nel 1954 lo psicologo Abraham Maslow elaborò la cosiddetta “Piramide dei bisogni umani”. Esiste, secondo Maslow,  una gerarchia dei bisogni dell’uomo. Risulta evidente che, dopo aver soddisfatto necessità fisiologiche e di sicurezza, gli esseri umani sentano il bisogno di appartenenza a un gruppo, a una comunità; il desiderio di essere riconosciuti, accettati e amati fino ad arrivare alla possibilità di esprimere i propri talenti.
Di certo, tutti noi abbiamo un grande bisogno di riconoscimento e di amore;  per troppo tempo - anche a causa di sistemi educativi vetusti - ci hanno inculcato l’idea che non si debba ammettere di aver bisogno di cura, tenerezza, affetto. Pensiamo come, nelle vecchie famiglie di stampo patriarcale, anche le manifestazioni di affetto (un abbraccio, una carezza o un bacio) fossero quasi precluse e considerate campanello d’allarme di un carattere debole, incline a facile sentimentalismi. 
Oggi invece, grazie a studi e ricerche sempre più approfonditi,  sappiamo quanto un abbraccio, una parola di incoraggiamento, un segno di affetto e di stima abbiano il potere di incidere persino sulla produzione di ormoni, come per esempio la serotonina, detta anche ormone della felicità. L’aumento della serotonina è responsabile del buon umore, di un sonno migliore, della riduzione di ansia, aggressività ed è un antidoto alla depressione.
Riconoscere tutto questo rappresenta un primo passo di affrancamento dalla dipendenza affettiva.
 

L’importanza di esprimere un bisogno

Una volta riconosciuto, un bisogno deve essere manifestato, espresso attraverso le parole e la gestualità. Se sentiamo di avere la necessità di essere aiutati dobbiamo chiederlo alle persone che ci stanno accanto e anche a chi possa offrire un supporto professionale.
Chiedere aiuto non è una manifestazione di debolezza, ma di saggezza e di amore verso se stessi. Tante persone arrivano da me timorose, come se dovessero giustificare tale richiesta di aiuto. Non è così. Anzi, chiedere supporto significa aver già raggiunto un primo traguardo di conquista della propria autonomia.
 

L’assertività crea buone relazioni

Nella dipendenza affettiva si riscontra spesso mancanza di assertività.
Che cosa vuol dire essere assertivi?
Riguarda il comportamento degli essere umani e si identifica nella capacità di esprimere quello che si pensa e si sente (pensiero ed emozioni) con chiarezza, senza timore, ma anche senza aggredire o denigrare il nostro interlocutore. Ciascuno di noi ha un mondo emotivo personale che però ha bisogno di entrare in relazione con gli altri, di esprimersi.
Essere assertivi significa creare relazioni di valore che non sminuiscano né noi stessi, né gli altri.
Certo, è necessario avere una buona consapevolezza di sé, sapere quali siano i nostri obiettivi, verso quali mete conduciamo la nostra vita. Se ci conosciamo comprendiamo quanto sia importante rispettare gli altri ma anche noi stessi: ecco perché sarà naturale tracciare dei confini per difendere autonomia e libertà, per non creare dipendenze di nessun tipo, meno che mai dipendenza affettiva.
La persona assertiva ha lavorato e lavora su di sé, in particolare ha appreso - ricordiamoci però che si tratta di un’attenzione che va prestata di continuo - a riconoscere e gestire le proprie emozioni. Non a nasconderle o soffocarle. Se monitoriamo noi stessi, ci conosciamo, sappiamo quali siano i nostri limiti e quali i nostri punti di forza, sarà molto difficile essere dipendenti a livello affettivo da altri.
 

Chi conosce se stesso, sa difendersi e valorizzarsi

Conoscersi significa osservarsi. Prestate attenzione al vostro linguaggio, alle parole che utilizzate, ma non dimenticate di ascoltare il corpo che, in molti casi, parla (o urla) quando la voce tace. Ci sono malesseri che sono, senza dubbio, il segno di un disagio psicologico. Un mal di testa, una colite, una tosse persistente non hanno molte volte cause organiche ma molto più profonde, mentali. Non trovando la forza di cambiare, di chiedere aiuto, di ribellarsi affidiamo inconsciamente al nostro corpo il compito di lanciare un grido d’aiuto. Ecco perché dobbiamo prestare attenzione alle nostre manifestazioni fisiche e non etichettarle con frettolosità come “malanni di stagione” quando magari quella stagione dura ormai da anni.
L’esistenza per esprimersi deve potersi esplicare liberamente, ma dobbiamo acquisire la capacità di stabilire confini a difesa dei nostri valori e della nostra libertà.
Lo scrittore Sandor Marai ha scritto una frase che voglio condividere con voi: “La stima di sé è il contenuto più profondo della vita umana”.
 

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